Arrivati da A, ci fermiamo in B e chiediamo all’addetto C dove sia l’uscita. Questi indica in direzione D: “Andate laggiù e girate a sinistra.” Mia moglie segue il percorso 1, gira a sinistra e va ad aprire la porta antipanico facendo risuonare l’allarme.
L’addetto aveva in mente il punto D, ma a noi ha dato un’indicazione diversa. Pensava che il contenuto della sua mente (il punto di arrivo) fosse condiviso, quando indicava “laggiù”; quel punto era al di là di una vetrata e, per raggiungerlo, avremmo dovuto seguire il percorso 2 ma non lo sapevamo: ci avrebbero dovuto indicare il punto E, dirci di svoltare a sinistra e infine andare “laggiù”.
Il gesto che per noi indicava una direzione, per l’addetto indicava una meta.
Quando ho bisogno che qualcuno faccia delle manovre per ottenere un risultato, di solito indico le operazioni da compiere; una volta che si è arrivati al dunque, mostro l’effetto perché sia chiaro il senso. Naturalmente, mi è capitato che certe procedure si rivelassero per me difficili da descrivere e che risultasse più chiaro spiegare la meta, lasciando che l’altra persona decidesse come ottenerla. Nel caso dell’esempio, sarebbe bastato un “oltre la vetrata” per rendere tutto chiaro. In altre occasioni, quando le procedure sono proprio la cosa da insegnare, trovo che spiegare il loro scopo serva solo a complicare le cose.
È una delle tante circostanze in cui “ciò che è evidente per me, può non esserlo per altri”.
Un mio amico era convinto che, se qualcuno non riparava qualcosa, fosse perché non ne aveva voglia. Gli dissi che non si rendeva conto del suo grande dono, di essere capace di riparare le cose!
È ovvio che frasi come “Avresti dovuto capirlo” mi diano fastidio.
Purtroppo, evitare un errore a volte è solo il modo in cui si incorre in quello opposto. Così mi capita spesso, considerando il passato, di ricordare gli errori compiuti ai danni altrui perché quello che era chiaro ad altri non lo era a me, rammaricandomi per non avere imparato meglio come sono fatti gli esseri umani e che questi si aspettassero, non a torto, che capissi qualcosa di più su di loro.
Se dis: “te capiset”, o almen disem inscì nialter de Milan, minga come vialter teruni. 😉
Ikea?
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te capiss nagot