Dico a tutti che ho perso l’unico hobby per cui mi pagavano.
Divertirsi al lavoro è pericoloso: si finisce per affidare a quelle ore una parte del proprio interesse per la vita e interpretare il resto della giornata, se si ha fortuna, come spazio per l’inattività beata o ridurre il cosiddetto tempo libero a una corsa dietro a doveri, invece. Se fossi un artigiano, un agricoltore, ci farebbero una puntata di Geo; invece facevo programmini al pc e suona meno romantico. Un vecchietto che fa il formaggio come lo faceva suo nonno merita una puntata; ma che io mi sia messo a scrivere quattro righe di codice per uno scopo casalingo, forte dell’esperienza maturata mentre pure mi pagavano, suona più come una deformazione. E vabbe’, è pure giusto: il mio codice non lo farò mica gustare ai vicini.
Uno se ne va da quell’ufficio e “in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni”. Si scopre che il mondo continua a girare come sempre e questo ridimensiona l’opinione di sé.
Ora il problema è un altro: ero circondato di persone con le quali scambiavo chiacchiere e opinioni, non ci occupavamo solo del lavoro ma anche lavorare insieme è un gran bell’esercizio relazionale. Se il mio nuovo passatempo è domestico, ho due impegni: il primo è di persistere con esso, per non perdermi nella pigrizia; il secondo è di proseguire o rimpiazzare le relazioni.
Non c’è che dire: per le prime due settimane di pensione è già un bell’impegno.