“Poiché i migliori hanno rifiutato, dobbiamo accontentarci di un mediocre”.
Ricordo di averlo letto nelle note di un disco: era il verbale con cui si decideva di assumere Johann Sebastian Bach per non so più quale incarico.
Lui dovette esserne consapevole. So anche dei grattacapi per la scarsa qualità dell’organico a Lipsia, delle richieste limitanti a Weimar. E immagino che venisse informato dei successi dei suoi contemporanei, per esempio Haendel. E riscontrava la tiepida accoglienza dei suoi lavori.
Poi le preoccupazioni familiari, perché a crescere figli non mancano, e l’economia domestica precaria, infine una malattia.
E lui componeva. Componeva e studiava. Non è che quando incontrò Weiss, acclamato liutista, si sia scoraggiato; ne ebbe lo stimolo a comporre qualcosa anche per il liuto.
E quando riuscì ad avvicinare il Margravio del Brandenburgo, gli mandò una bella copia dei suoi concerti. Sembra che quei capolavori non siano stati ritenuti degni di una risposta. Fra lui e sua moglie, quante mai copie stese, corrette, rifatte!
Ma lui continuava a comporre, trascrivere, elaborare.
Certo, riconoscevano che suonava bene, insegnava ma bisognava essere già bravi. Sapeva pure collaudare gli organi nuovi.
Aveva la stima di intellettuali e musicisti. Ciò non lo rese mai ricco.
Ecco, penso a lui e considero che le cose vanno fatte seriamente. Magari nemmeno un’attività artistica: siamo prima del Romanticismo e lui era uno stipendiato fra tanti, sparsi fra corti, chiese, istituti.
Quindi vale per ogni lavoro da far bene, ma ancora di più se si vuol fare un che di artistico.
L’ultima cosa che fece fu dettare, allettato e cieco, le sue ultime note musicali.
Ora la smetto di cazzeggiare, butto a mare il pessimismo e mi metto a fare.