Personalmente, “casa” è dove mi trovo. Una casa portatile, essenziale: giusto quanto posso trasportare con bagaglio leggero. Sono stato abituato, non senza disagio, ad accettare altre permanenze stabili per mesi, a età in cui i mesi sembrano eoni, ma è cosa di eoni lontani. Mi ha dato un’idea di ‘casa’ che coincideva col mio corpo e poco altro, immerso in un ‘esterno’ totale che comprendeva tutte le cose e le persone d’intorno.
Avendo un luogo fisso di residenza, successivamente, ho finito per accumulare prolungamenti di me in oggetti che potrebbero servire, così serve uno spazio per contenerle.
Quando iniziai a usare i computer, avevo uno scatolino: tastiera e poco altro; adesso serve la stampante, il modem, le memorie di massa con relative copie di sicurezza. Si comincia appassionandosi per un libro e si finisce per comprare nuovi scaffali della libreria. La cucina si riempie di utensili.
In caso di terremoto, non potrei portare molto con me. Ciò mi fa intuire meglio la condizione di profugo.
Eppure sogno ancora di essere simile a un nomade, come mi sentivo un tempo; il mio corpo e le mie capacità tutto ciò che serviva, qualche sogno nebuloso come sola aspirazione.
La filosofia, e ancora più l’età, mi richiamano a scrollarmi di dosso tutto il possibile; ma come era facile, allora, sentire perduta la vita intera al minimo disagio, così ora temo la decadenza di perdere la misera ricchezza di gesti e oggetti, tramite i quali provare a riempire quella casupola che sono.