Terremoto

Ci può essere risposta?

Non la risposta ovvia dei soccorsi. Questi tendono a ridurre il danno ma non possono annullare il danno già avuto.

Parlo del viso che ho visto ieri sera, di una povera sfollata precariamente protetta dal freddo e dalla pioggia, alla soglia del pianto. Probabilmente il disagio della sistemazione le risuonava come materiale perduranza delle perdite che stava ricapitolando: la casa, gli oggetti familiari, i familiari stessi con folla di vicini e conoscenti. La paura non ancora passata, forse il dolore fisico.

Che darle? Quando, e se, l’emergenza sarà passata, rimarrà il fatto di essere stata colpita. Si tende ad attribuire a meriti personali i beni e i successi; a propria colpa sventure e sciagure, anche quando altri le hanno procurate.

Intanto, nel mondo, c’è chi racconta barzellette, chi si preoccupa di scegliere un vestito, chi rimprovera un comportamento inadeguato, chi teme l’imbarazzo. Ci sono eserciti di persone impegnate a distruggere, rubare, smontare; altri raccolgono aiuti, distribuiscono pasti, ascoltano. Si fanno spettacoli, si scrive, si preparano esami, si pratica un commercio.

Il clamore delle attività umane arriva forse a quella donna? Tutto irrilevante, incongruo con il suo “qui e ora” fatto di sconforto.

Anch’io mi vergogno. Mentre racconto una storia, leggo un libro, ascolto musica, parlo di auto o di impianti da montare, di politica o di vacanze. Che le rispondo? Scuoto il capo, allargo le braccia: troppo lo sconcerto. È naturale il desiderio di rimediare a qualche male, ora sapendone tanti; di restare più attenti al bisogno.

Non può essere soltanto l’efficienza a far fronte, né la doverosa partecipazione agli aiuti. Serve riconoscere bisogni immateriali affinché un viso trovi altra espressione. Patirne insieme l’enormità, in fratellanza perplessa. Potrà mai bastare?

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Uno che evidentemente ha ancora tempo libero...
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